#osakaearthquake Il terremoto a Osaka. C’è qualcosa di altamente protettivo nell’essere in un paese che a malapena parla inglese durante un evento del genere. Guardi le immagini in televisione, comprendi il disastro, continui a tremare ma è un vivere istintivo. Il linguaggio fa molto e in questo caso, l’assenza aiuta.
E’ dal 1923 che Osaka non ha un terremoto così forte. Poi vai online a capisci tutto, il linguaggio riprende a funzionare e torni umana. Ti fotti dalla paura ma razionalizzi pensando che hai il culo di stare nel paese che meglio di tutti sa gestire questi eventi. Io in qualche modo mi sento grata per questo.
Per ora dicono che la scossa peggiore è passata, lo sciame lo sentiremo ma lievemente.
Ho inviato il mio lavoro stamattina, perché una parte giapponese ho scoperto di averla anch’io e anche perché far vincere il panico mi pare poco significativo e scrivere mi aiuta a concentrarmi.
Siamo nella hall dell’albergo, pochissimi stranieri e tantissimi giapponesi. Chissà se anche loro che sembrano così impassibili dentro tremano di adrenalina. Glielo chiederei ma abbiamo un ostacolo.
In questo momento, se potessi, farei il gruppo di auto aiuto instant, giusto per capire se vogliono unirsi a me in una preghiera a Billiken, il dio “delle cose come dovrebbero andare”. Dicono che basta toccargli la pianta dei piedi. Che a occhio è anche quello di cui avremo bisogno: stabilità.